“Oltre il legittimo profondo cordoglio per quanto avvenuto in Val di Sole, e oltre l’emotività, anche questa comprensibile, è necessario tornare a dare spazio all’approccio scientifico, e ai tecnici. Bisogna farlo anche per rispetto ai familiari di Andrea. Ci sono criteri oggettivi che sono noti agli addetti ai lavori per prevenire gli incidenti e che devono essere a disposizione della politica. Sono contenuti in numerosi rapporti scientifici prodotti in passato, e purtroppo rimasti a giacere nei cassetti. Devono essere osservati nei minimi particolari. È più oneroso, in tutti i sensi, correre ai ripari dopo che il problema è esploso o agire prima? Bisogna anche tornare a fare rete, fra tutti gli attori del territorio, ed esprimere una posizione ferma, costruttiva, unanime. Abbattere un esemplare pericoloso di orso non deve essere un tabù, ed era previsto fin dalle origini del progetto Life Ursus, conclusosi formalmente nel 2004. Ma non può essere l’unica soluzione possibile. Né è possibile pensare di risolvere il problema senza solide basi scientifiche sulle quali agire con interventi immediati. Realtà come il Parco possono dare un contributo importante all’elaborazione delle decisioni più opportune. Ma è importante che vengano coinvolte dal decisore politico e messe nella condizione di farlo”. Queste in sintesi le posizioni espresse dal Parco Naturale Adamello Brenta, con il suo presidente Walter Ferrazza e il responsabile della ricerca scientifica, fra i protagonisti del progetto Life Ursus, Andrea Mustoni, nell’incontro svoltosi con i sindaci dei 30 comuni del Parco. Un incontro molto partecipato, in cui si sono confrontate posizioni diverse, con l’obiettivo di arrivare ad una sintesi costruttiva.
“Quanto è accaduto a Caldes – ha detto il presidente Ferrazza in apertura dei lavori – mi ha toccato profondamente, fino a togliermi il sonno. Sia per l’evento in sé, la morte di un giovane, sia perché da trentino sento la responsabilità di fare, anche in futuro, la cosa giusta. Questo incontro è stato voluto per fornire importanti informazioni di base sul progetto Life Ursus e per condividere la responsabilità che il Parco può prendersi per elaborare assieme delle possibili strategie comuni. Questo lo può fare solo attraverso una rete che raccoglie le istituzioni del territorio e si esprime in maniera univoca.
Un lancio dell’agenzia Ansa del 2014, che ho recuperato, riporta una mia richiesta di intervento definitivo, di cattura, riguardante un’orsa pericolosa. Auspicavo che la definizione di un protocollo chiaro per la gestione delle situazioni critiche che un orso potesse creare fosse in grado di salvare uomo e progetto. Sono passati 10 anni e oggi più che mai quella speranza è utile e attuale e oggi quanto mai necessaria.
Dopo essere diventato presidente del Parco ho continuato a chiedere con insistenza che il Pnab potesse avere un ruolo determinante nella gestione degli orsi presenti sul nostro territorio. Non ho avuto risposta. Oggi dobbiamo rinnovare questa richiesta tutti assieme anche se il Parco non è rimasto, nel frattempo, a guardare. Abbiamo infatti continuato a perseguire (soli) i principi della convivenza investendo giornalmente sul versante della comunicazione. Sito web, comunicati stampa, depliant e brochure, incontri sul territorio e nelle scuole sono solo alcune delle azioni che abbiamo posto in essere. E oggi è ancora più utile che lo facciamo, assieme anche agli altri soggetti del territorio. Ci mettiamo volentieri a disposizione di eventuali scelte con competenza ed esperienza.
Sul versante dei media, dopo la tragedia di Caldes, il Parco ha osservato il silenzio stampa. Abbiamo fatto questa scelta innanzitutto per rispetto nei confronti di questa tragedia. Oggi però pensiamo sia utile confrontarci e portare il nostro contributo all’evoluzione del dibattito”.
La parola è poi andata a Mustoni che ha tracciato una panoramica del percorso fatto fin dagli anni 90. “Il progetto Life Ursus – ha spiegato in premessa - non è stato un fallimento, come oggi qualcuno sostiene, ma un enorme successo, riconosciuto a livello internazionale. Non è mai accaduto in Italia né prima né dopo che un team di 6-7 tecnici specialisti di fauna selvatica si trovasse a lavorare assieme per un progetto faunistico di questo tipo, seguendo criteri estremamente rigorosi sul piano scientifico e nella massima trasparenza possibile. Life Ursus del quale sono stato coordinatore tecnico, con l’introduzione di 10 esemplari di orso bruno in Trentino, è terminato nel 2004 e quello che è accaduto dopo non è sotto il cappello dei progetti LIFE intesi come strumenti finanziari dell’Unione Europea; dal 2004 le responsabilità gestionali sono passate in capo alla Provincia autonoma di Trento.
Cosa è avvenuto dopo la fine del progetto, nella fase di gestione? Forse, è l’ipotesi di Mustoni, il problema principale è che la situazione è stata gestita nel tentativo di renderla ordinaria nonostante la sua assoluta straordinarietà, che è evidente continui anche nei giorni che stiamo vivendo. Inoltre la presenza dell’orso, con tutte le sue peculiarità è stata forse più sopportata che non curata e promossa.
“L’orso – ha proseguito Mustoni - è un animale poco pericoloso, ma che in alcuni casi può diventarlo. I veri tecnici non hanno mai negato la possibilità di un’aggressione all’uomo. Lo studio di fattibilità posto alla base del Life Ursus e redatto nel 1998, prima dell’inizio del rilascio degli orsi sul territorio trentino, riporta chiaramente anche il fattore di rischio legato alle aggressioni all’uomo. Il documento elenca peraltro anche le misure da osservare per prevenire e limitare tali rischi.
Nel 2004 ho pubblicato io stesso un libro in cui si descrivono studi scientifici che sostengono la tesi secondo la quale più comunicazione c’è su un territorio, meno sono frequenti gli incidenti. La comunicazione in Trentino non è stata incisiva, come la stessa Provincia auspicava fin dal 2002. Un Piano della comunicazione è stato elaborato solo nel 2016 e non è ancora stato realizzato nella sua interezza.
Un altro documento di approfondimento tecnico-scientifico, voluto all’epoca dalla Giunta Dellai e realizzato da due importanti docenti universitari, ricco di suggerimenti puntuali su come gestire le diverse situazioni legate alla presenza degli orsi, è rimasto disatteso a giacere nei cassetti.
Infine: lo studio di fattibilità prodotto all’inizio del progetto Life Ursus non parlava di un numero massimo di orsi sul territorio. Ma di un numero minimo, di 40-60 esemplari e di possibilità di sviluppo numerico della popolazione in linea con quanto osservato fino ad oggi.
Lo studio di fattibilità prevedeva anche la possibilità di rimuovere gli esemplari pericolosi di orso. E per me – ha detto ancora Mustoni – rimuoverli vuol dire solo una cosa: abbatterli. Non rinchiuderli in un recinto, una situazione triste a tutti i livelli”.
C’è però una differenza fra orsi problematici e orsi pericolosi. I danni provocati dall’orso sono modesti, anche rispetto a quelli prodotti da altre specie selvatiche. Possono essere rifusi. Invece le cose cambiano se parliamo di pericolosità.
“Gestire animali selvatici – ha concluso Mustoni - è un lavoro, una professione. Bisogna che ai tecnici venga dato nuovamente il ruolo che spetta loro e che supportino e aiutino con coraggio i politici a fare le scelte più corrette nell’interesse di tutti.
Cosa vorremmo, come Parco, che accadesse, da qui in avanti? Innanzitutto che la discussione venisse riportata su binari tecnici, più corretti e lontani dal vociare di questi strani giorni. Dobbiamo farlo andando oltre i populismi e il tifo da stadio. Dobbiamo farlo anche per rispetto ai familiari di Andrea Papi.
Ma catturare e trasferire o addirittura abbattere 70 orsi mi sembra non praticabile. Non sono chiuso all’idea di diminuire il numero di orsi sul territorio. Inoltre, la diminuzione degli orsi non può essere intesa come la sola soluzione. Al contrario, devono essere perseguite tutte le strade possibili per diminuire la possibilità che si verifichino incidenti o situazioni sgradevoli. Un lavoro difficile ma fattibile se si curano anche i minimi particolari. Ed è necessario che gli esperti tornino ad avere un ruolo importante. È più oneroso in tutti i sensi correre ai ripari dopo che agire prima”.
Da parte dei sindaci sono emerse puntuali richieste di chiarimento sulla situazione e sulle diverse strategie possibili, come l’abbattimento, la rimozione e così via. Molte, naturalmente, le preoccupazioni espresse dai primi cittadini. Ma assieme a queste, anche il riconoscimento che confrontarsi è utile e che farlo con dei tecnici lo è ancora maggiormente. Anche perché, è stato osservato, certe cose emerse nel corso dell’incontro non si erano mai sentite prima, e sono utilissime al fine di ragionare più seriamente e sensibilizzare anche gli organismi provinciali sull’importanza di un ente come il Parco. Naturalmente nel rispetto della distinzione dei ruoli fra piano tecnico e piano politico, e mettendo sempre al primo posto la sicurezza dei cittadini.
Parco Naturale Adamello Brenta: "Abbattere un esemplare pericoloso di orso non deve essere un tabù, ed era previsto fin dalle origini del progetto Life Ursus"
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