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Studenti trentini contro il Green Pass: “Lettere aperte a Rettore e docenti, ascoltate le nostre istanze”

In Trentino
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Settembre è alle porte e le preoccupazioni degli universitari si accumulano, faticando a trovare risposte: molti di noi si chiedono cosa ne sarà dell’Università e dell’istruzione accademica dopo l’emanazione del DL. 111/2021, ormai noto come “Decreto Legge sul Green Pass”. La recente comunicazione inviataci dal Rettore dell’ Ateneo trentino il 20 agosto 21 lascia poco spazio ai nostri dubbi riguardo l’efficacia sanitaria del Green Pass e il mascherato obbligo vaccinale che esso cela.

 

In una situazione così incerta quale è la nostra realtà sociale, nella quale le tensioni sono fortissime su tutti i piani della vita (politico, sociale, istituzionale e relazionale), ci sentiamo in dovere di richiamare il Rettore all’osservanza dei princìpi sottoscritti nel Codice Etico di Ateneo, nello Statuto, nel Codice di Comportamento e nel Codice d’Onore degli Studenti.

Il governo Draghi ha scelto di alimentare un grave circuito di discriminazione all’interno della comunità universitaria. In sede universitaria si produrrà l’ inevitabile divisione della medesima comunità in due macro-categorie tra esse antitetiche (“il vaccinato” e “il non vaccinato”), implicitamente correlate ad una valutazione etica di natura esclusiva e binaria (“il buono” che si scontra con “il cattivo/l’untore”).

 

Va ribadito che il Regolamento UE 953/2021, disciplinante la Certificazione Verde, specifica all’art. 36 l’assoluta necessità di evitare qualsiasi forma di discriminazione (diretta o indiretta) verso le persone che «non si sono vaccinate per motivi di salute, opportunità o scelta personale». La normativa italiana che disciplina il Green Pass (DL. 52/2021), pur prevedendo espressamente l’applicabilità di tali disposizioni solo se compatibili con quelle europee, finisce per violare queste ultime.

 

In un contesto di Stato di Emergenza nel quale ancora ci troviamo, eliminare la didattica a distanza, costringendo migliaia di studenti ad ambienti saturi e per nulla sicuri (pena il declassamento a non frequentanti), è una presa di posizione miope ed avventata. Di più, l’impedire agli studenti non in possesso della Certificazione Verde di partecipare alle lezioni in presenza, di sostenere gli esami e di frequentare le biblioteche si configura come una gravissima violazione del diritto allo studio tutelato dall’art. 34 della Costituzione.

 

Ci troviamo così ad osservare un pericoloso attacco allo Stato di Diritto. Invitiamo ogni delegato al controllo degli ingressi e ogni singolo docente a non tener fede a prescrizioni che risultano essere in palese contrasto con i principi costituzionali, ma di compiere un gesto di assoluta disobbedienza civile verso tali norme illegittime, rifiutandosi di richiedere di visionare alcuna Certificazione Verde.

 

 

LETTERA APERTA AL RETTORE

All’attenzione del Magnifico Rettore,

All’attenzione di tutti gli Organi Collegiali

Vi scriviamo in rappresentanza di un nutrito gruppo di studenti venutosi ad organizzare in seguito all’infausta estensione dell’obbligatorietà della certificazione verde anche per studenti universitari, Docenti e Personale Ata, decretata dal DL 06/08/2021 n.111.

Considerato che lo strumento della certificazione verde, come applicato nel suddetto decreto legge, risulta in contrasto con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, discusso a Nizza il 7 dicembre 2000, la quale dichiara all’art. 1 che “La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata”, e all’art. 3 che “Ogni individuo ha diritto alla propria integrità fisica e psichica. Nell’ambito della medicina e della biologia devono essere in particolare rispettati il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge”, e che diventa vincolante per gli stati membri dell’Unione Europea con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, del dicembre 2009, e considerato anche che gli articoli sopracitati fanno eco all’art. 5 alla Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina, approvata dal Consiglio d’Europa il 4/4/1997 ad Oviedo, il quale sancisce il principio del consenso personale libero e informato ai trattamenti sanitari, vi chiedo, a questo punto, come può il consenso essere libero se è dettato da un forte ricatto politico e da una marcata pressione sociale ?

Desideriamo citare il Reg. (UE) 2021/953 del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce, al considerando 36, che “È necessario evitare la discriminazione diretta o indiretta di persone che non sono vaccinate, per esempio per motivi medici, perché non rientrano nel gruppo di destinatari per cui il vaccino anti COVID-19 è attualmente somministrato o consentito o perché non hanno ancora avuto l’opportunità di essere vaccinate o hanno scelto di non essere vaccinate. […] Inoltre, il presente regolamento non può essere interpretato nel senso che istituisce un diritto o un obbligo a essere vaccinati.”

Pertanto, ci appare quanto mai curioso che tale certificato, non utilizzabile secondo il sopracitato Regolamento per discriminare le persone nei servizi di trasporto transfrontalieri, possa diventare invece una condizione necessaria per accedere a servizi (come le Università, nel nostro caso, ma anche scuole, esercizi commerciali, ecc.) interni al nostro Paese, mostrandosi così ai nostri occhi di studenti universitari come un ricatto e un malcelato obbligo indiretto, in contraddizione con l’art. 32 della Costituzione Italiana.

Il principio di prevalenza delle norme europee su quelle nazionali, ricordato nell’art. 9 del DL 52/2021, il quale introduce il “green pass” e prevede espressamente l’applicabilità delle norme italiane solo se compatibili con il Regolamento UE 953/2021, suggerisce un maggior peso della risoluzione n. 2631 del Consiglio d’Europa datata 27/01/2021, la quale rende noto che: “L’assemblea invita gli stati membri e l’Unione Europea ad assicurare “che i cittadini siano informati che la vaccinazione non è obbligatoria e che nessuno può essere sottoposto ad una pressione politica, sociale o di altro genere affinché si vaccini se non desidera di farlo; che nessuno sia discriminato per non essere stato vaccinato a causa di possibili pericoli per la salute o perché non vuole farsi vaccinare.” Rammentiamo altresì che la discriminazione è vietata dall’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, dall’art. 14 della CEDU (Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo), dall’art. 2 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e dall’art. 3 della Costituzione Italiana.

Inoltre, se anche si volesse adottare una misura di questo genere con l’intento di salvaguardare l’interesse della collettività, questo non sarebbe possibile, come sancito dalla sentenza n. 37/1990 della Corte Costituzionale che, in particolare, sancisce che “”il rilievo costituzionale della salute come interesse della collettività non è da solo sufficiente a giustificare la misura sanitaria

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(intendendosi ovviamente una misura imposta)” , e dalla sentenza n. 5/2018 della Corte Costituzionale che stabilisce che “Il diritto dell’individuo alla salute non può considerarsi in ogni caso cedevole nei confronti del dovere dello Stato e dei provvedimenti adottati a tutela dell’interesse della collettività ne potrebbe ritenersi che qualsiasi trattamento coattivo sia giustificato solo perché esso consente migliori contributi dell’individuo al benessere sociale.”.

Perciò, chiunque impedisca l’ingresso in una struttura aperta al pubblico o pubblica a chi non sia provvisto del “green pass” sta commettendo il reato di violenza privata (art. 610 c.p.): “Chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa è punito con la reclusione fino a quattro anni”.

A fronte del suo “caloroso invito” alla vaccinazione come “strada maestra” rivolto alla comunità studentesca, intendiamo sollevare anche la questione medico-scientifica. Infatti, è in riferimento a questa che alcune persone scelgono, nell’ambito della facoltà di esercizio di un loro diritto, di non avvalersi della vaccinazione.

È evidente che il mondo scientifico, medici in primis, non sono concordi e coesi sull’effettiva efficacia del farmaco, ma soprattutto sul rapporto rischio-beneficio dello stesso, sul quale attualmente non vi sono sufficienti studi e/o sperimentazioni, in grado di chiarire questo rapporto.

Prendiamo ad esempio l’articolo “Safety and Efficacy ofthe BNT162b2 mRNA Covid-19 Vaccine” di Polack et al., pubblicato sul New England Journal of Medicine in data 31/12/2020. In particolare, in questo studio, si rilevano numerosi errori metodologici:

  1. Lo studio è in cieco solo per chi osservava le reazioni a brevissimo termine (≤ 30 min)

  2. Le siringhe di somministrazione tra il farmaco e il placebo erano distinguibili (era facile chiedere al paziente se la siringa fosse bianca o blu, un bias importantissimo, tratto dai dati

    presenti negli allegati all’articolo)

  3. I due staff di analisi non erano in cieco (uno staff era dello sponsor, dat. All.)

  4. I protocolli del disegno di studio sono stati emendati più volte, di cui due dopo la data di

    cutoff dei dati (emendamento n.8 15/10; emendamento n.9 29/10)

  5. La reattogenicità è stata studiata solo sul 21% dei partecipanti, con distorsione dei risultati

  6. 20autorisu29sonodipendentiPfizereulterioriautoriricevonofinanziamentiprivati,che

    configurano potenziale conflitto d’interessi

  7. Lo studio di efficacia è stato eseguito nei mesi di agosto e settembre 2020, prima della cosiddetta seconda ondata.

  8. Lo studio afferma che la mediana dei follow-up è di due mesi. Tuttavia, il tempo trascorso tra il reclutamento dei partecipanti e la data di cut-off dei dati appare non compatibile.

  9. L’analisi sulla sicurezza non è statistica ma soltanto descrittiva.

    In conclusione, lo studio non si configura metodologicamente come un double-blinded study ma poco più di un observer-blinded study. Inoltre, nell’articolo è riportata la seguente affermazione: “These data do not address whether vaccination prevents asymptomatic infection” (“Questi dati non permettono di valutare la prevenzione dell’infezione asintomatica”), affermazione in netta contraddizione con le prerogative della certificazione verde e l’obbligatorietà di quest’ultima per poter fruire del proprio Diritto allo Studio.

    Per quanto riguarda gli effetti a medio-lungo termine causati dalla vaccinazione, come riportato al punto 10 della nota informativa riguardo il consenso informato (vedi circolare della Direzione Generale della Prevenzione Sanitaria del Ministero della Salute del 24 dicembre 2020, prot. 0042164), “Non è possibile al momento prevedere danni a lunga distanza”. Inoltre, nell’Allegato I della summenzionata circolare ministeriale, si afferma che “Non sono stati condotti studi di genotossicità o sul potenziale cancerogeno.”

All’interno della comunità scientifica, i dubbi riguardanti possibili aspetti patologici legati al “Antibodies-Dependent-Enhancement”, descritto in numerosi studi (citiamo a mero esempio lo studio di Lee et al. “Antibody-Dependent-Enhancement and SARS-CoV-2 vaccines and therapies”, Nat Microbiol 5, 1185-1191 (2020), ma ne sono presenti molti altri in letteratura), sono stati solo parzialmente fugati, come si vede dallo studio di Polack et al., eseguito prima dell’insorgere delle varianti virali. Non sono stati in minima misura fugati i dubbi riguardanti l’insorgenza di malattie infiammatorie sistemiche e/o autoimmuni, nonché gli aspetti legati al rischio di danni da malattie simil-prioniche (vedi Classen JB.”COVID-19 RNA based vaccines and the risk of prion disease.”, Microbiol Infect Dis. 2021; 5(1): 1-3; King OD et al. “The tip of the iceberg: RNA-binding proteins with prion-like domains in neurodegenerative disease.”, Brain Res. 2012 June 26; 1462: 61-80), dovute alla particolare stabilità della conformazione della proteina Spike vaccinale, mancante del sito di clivaggio della furina. Quest’ultimo è stato individuato, da quanto traspare dall’articolo “How the coronavirus infects our cells” di Megan Scudellari, pubblicato su Nature il 29/07/2021, come chiave della maggior infettività di diverse varianti del virus. L’assenza di tale elemento rende l’antigene S vaccinale una proteina “super-stabile” e predispone la sua interazione con le cellule umane come un prione. Questi dubbi sono a tutt’oggi sollevati in virtù del riconoscimento, tra gli eventi avversi dovuti alla vaccinazione, di glomerulonefrite o infiammazione renale, e infiammazione nefrosica, patologie che suggeriscono un’alterazione della proteostasi nel paziente.

Inoltre teniamo a precisare che una persona vaccinata non è automaticamente immunizzata: per accertare l’effettiva immunizzazione, infatti, è necessario effettuare sul soggetto vaccinato un test anticorpale, per verificare l’avvenuta produzione di anticorpi neutralizzanti da parte del sistema immunitario, quindi l’accesso alle persone vaccinate mediante l’esibizione del green pass, senza aver verificato l’effettiva immunizzazione, potrebbe innescare comunque focolai Covid, come già successo (esemplificativi sono i casi, riportati dalla stampa, delle navi militari, con personale vaccinato, HMS Queen Elizabeth e Amerigo Vespucci).

Inoltre, recenti studi dimostrano che la protezione rispetto all’infezione da Sars-Cov-2 e sue varianti decade nel tempo, come riportato nell’articolo “Elapsed time since BNT162b2 vaccine and risk of SARSCoV-2 infection in a large cohort” di Israel et al., evidenza sperimentale confermata dalla situazione epidemiologico-sanitaria di paesi stranieri come Regno Unito e Israele, che malgrado l’ampia copertura raggiunta dalla loro campagna vaccinale, stanno osservando un aumento di casi fra persone vaccinate, avvalorando la tesi espressa pubblicamente dal Premio Nobel per la Medicina, Luc Montagnier.

Alla luce di quanto esposto sopra, riteniamo, in base anche ai suddetti dettami costituzionali, che nessun obbligo vaccinale con detti farmaci può essere imposto, né direttamente né indirettamente per tramite di altri mezzi che possono raggiungere detto scopo.

In questo contesto trovano anche spazio tutte quelle incongruenze che non rendono conto delle specificità di salute individuale e che paiono cozzare, in ambito accademico, con i principi di tutela e garanzia del Diritto allo Studio (Art.1, Comma 181, punto f, Legge 107/2015). In codesto documento il Ministero definisce i livelli essenziali delle prestazioni, ossia i servizi alla persona. Il rilascio di tale certificato non è infatti in grado di prevedere casistiche adeguate per temi così intimamente legati alle condizioni specifiche della persona, due su tutti: la storia di salute individuale e la risposta specifica del sistema immunitario di ciascun individuo.

Noi di Studenti contro il Green Pass ci teniamo a ribadire in primo luogo che ci poniamo contro ogni discriminazione verso gli studenti per qualsivoglia motivo che sia di razza, religione, convinzioni politiche, sesso, tantomeno per le terapie farmacologiche ai quali i singoli decidono o meno di sottoporsi e in particolare verso quegli studenti che non possono sottoporsi al trattamento vaccinale per motivi medici.

Discriminare l’accesso agli ambienti dell’Università in base al possesso o meno di un Pass è una inaudita divisione degli studenti in studenti di Serie A e studenti di Serie B.
Ai primi è concesso, in un regime di libertà condizionata, di accedere alle lezioni, agli esami, di partecipare ai tirocini obbligatori e ai vari servizi dell’Università, mentre ai secondi no, a parità di tasse pagate.

Questa è un palese, incomprensibile, insensato, volontario atto di scoraggiamento verso lo studio, il perseguimento degli obiettivi accademici e la partecipazione alla vita universitaria. Il pensiero che questa e altre misure impediscano a qualunque studente che voglia partecipare a una lezione o a un esame di entrare in aula dovrebbe far rabbrividire chiunque.

L’ottenimento del pass è esso stesso carico di una varietà di conseguenze negative e inammissibili. Il pass è infatti rilasciato:

  1. 1)  acertificataguarigionedaCOVID-19,ilcheescludelecentinaiadimigliaiadistudentiguariti ma che non hanno mai ricevuto una diagnosi, spronandoli ad effettuare una terapia superflua per vedersi concesso il proprio diritto allo studio.

  2. 2)  All’ottenimento di un tampone negativo, costringendo gli studenti a subire virtualmente ogni due giorni un test diagnostico invasivo e costoso. Questa metodologia è particolarmente maligna, poiché non tiene conto dello status socioeconomico di provenienza della persona.

  3. 3)  Dopo l’avvenuta prima dose di un qualsivoglia vaccino COVID-19 approvato in via condizionata da EMA, con validità fino al 21/12/2021, che è ovviamente il modo in cui la maggior parte delle persone otterrebbero il pass.

    Il fatto poi che l’accesso ai tamponi non potrà essere garantito nel futuro, oltre ad essere in contrasto con molti atenei italiani e con il decreto-legge stesso, rende ancora più evidente il carattere discriminatorio di questa misura. L’unica volontà è quella di vaccinare il più possibile senza nessun riguardo per le scelte personali, attraverso quello che per ora si pone come un obbligo indiretto.

    Che le istituzioni universitarie, avallando e attuando le disposizioni del governo, collaborino con questo ricatto è per noi inaccettabile, inammissibile, inconcepibile.
    La possibilità che l’Università offre agli studenti non muniti di pass di proseguire, (in alcuni casi non completamente), la propria carriera accademica, tramite una serie di misure come ad esempio la DAD, è per noi insufficiente e, a dirla tutta, umiliante. Senza contare che, allo stato attuale delle comunicazioni, anche la DAD pare essersi rovesciata in un privilegio. Infatti, dalla sua comunicazione si apprende che le attività in remoto saranno marginali o assenti. La situazione nella quale ci siamo ritrovati nell’ultimo anno e mezzo ha evidenziato alcune funzionalità positive in termini didattici della DAD, come la possibilità di seguire le lezioni a distanza o lezioni registrate per chi, per problemi di lavoro o salute, non avesse la possibilità di recarsi a lezione. In un contesto tutt’ora emergenziale ci sembra assurdo negare anche questa opportunità, alla luce di quanto detto sopra e anche a livello organizzativo. Come farà una persona in isolamento a partecipare ad una lezione?

Riterremo le nostre ragioni ascoltate unicamente quando nella nostra Università gli studenti saranno non solo trattati allo stesso modo ma anche non intralciati nel loro Diritto di studiare e formarsi.
Questa misura ha, inoltre, spiacevoli conseguenze: alcuni studenti, avendo effettuato la scelta di sottoporsi alla vaccinazione, sentendosi forti e spalleggiati dalle stesse istituzioni, hanno già cominciato a schernire e sminuire gli studenti che anche solo criticano queste misure, attribuendo loro categorie che non andremo a ripetere. Non possiamo escludere che, nel semestre entrante, questi episodi per ora isolati non vadano ad aumentare in numero ed intensità, fino a sfociare nella violenza. Siamo costretti a ritenere che ogni atto di discriminazione verso uno studente che avvenga a causa di questa e altre misure, in assenza di dirette comunicazioni che condannino simili atti e le misure stesse, siano avallate dalle istituzioni universitarie.

Il risvolto sociale sulla salute mentale dei nostri colleghi è palese ed evidente: ci giungono ogni giorno testimonianze dirette di studenti che si sentono (e sono) a tutti gli effetti braccati e discriminati, non solo attraverso dinamiche sociali patologiche, ma anche dalle istituzioni Universitarie stesse, le quali sono arrivate ad impedire loro di completare il percorso di studi se prima essi non si fossero sottoposti a determinate ed arbitrarie terapie farmacologiche, negando loro qualunque principio di libera scelta e di auto-determinazione.

Numerose le testimonianze dirette di ragazzi, i quali nonostante siano desiderosi di cominciare la loro carriera universitaria nella nostra Università, devono vivere nell’incertezza di regole sempre più stringenti, che li trattano come “untori” e “pericoli pubblici”, per l’unico crimine di aver fatto una scelta in tema di salute diversa dalla maggioranza dei loro concittadini, la quale è tutelata a norma di legge e fondata dal punto di vista scientifico.

Se riconosciamo nell’Università un ruolo che sia ancora di stimolo migliorativo di carattere culturale e sociale per la realtà in cui è inserita -e non di mera riproduzione tecnica dei saperi o valorizzazione economica degli stessi- ci chiediamo: dov’è il legittimo dibattito democratico e realmente scientifico concernente la strada da percorrere per tutelare la propria comunità, interamente, senza frammentazioni ulteriori, nel momento in cui le misure che vengono attuate non sono di per sé strumenti sanitari, quanto piuttosto di sostanza politica?

Sul piano della democrazia non possiamo che rilevare come si stia intraprendendo, a livello sia nazionale che accademico, una china pericolosa, ove il principio di autorevolezza viene costantemente sostituito dal principio di autorità, in veste di un volgare “ipse dixit” contro cui il metodo del nostro Galileo Galilei fu concepito. Se dall’alto le decisioni più stringenti vengono prese tramite Decretazione di Emergenza, senza previa discussione parlamentare, all’interno dell’Università la discussione viene sterilizzata sospendendo la possibilità di fruire degli spazi di Ateneo per confrontarsi in assemblee, relegando quindi la discussione solo al livello istituzionale rappresentativo, senza la garanzia di un confronto plurale con i “beneficiari” di tali prescrizioni. Tale principio di autorità si scontra poi anche con quello che dovrebbe essere il rigore scientifico e giuridico nell’adottare misure che vogliono avere uno scopo sanitario.

L’onere della prova, risalente al diritto romano – fondamentale in diritto processuale e di conseguenza di vitale importanza in uno stato di diritto – supera i confini della giurisprudenza ed è intuitivamente valido in diversi casi: è l’accusa che deve dimostrare la colpevolezza dell’imputato; è il venditore che deve convincere dell’affare l’acquirente; e nel nostro caso, è chi propone una legge che deve provarne con rigore l’efficacia supposta (e questo prima della sua applicazione) e non a chi la subisce dover dimostrare la sua inefficacia.

Assistiamo ormai da quasi due anni all’adozione di misure che hanno ribaltato questo principio: non si è certi della loro efficacia, non si è certi di cosa comporteranno collateralmente, ma si applicano lo stesso nella speranza che siano risolutive. La certificazione verde è l’ultima di tali misure ed anche questa volta non si ha alcuna evidenza che possa portare ad un miglioramento della situazione, se non forse ad un suo peggioramento. Dovessimo anche trovarci – per ragioni che vanno chiarite – in presenza di un’inversione dell’onere della prova e quindi spettasse ai “convenuti” dover fornire la prova contraria, un’analisi costi-benefici sarebbe un dovuto esercizio minimo di buon senso e democrazia, ma questa non sembra essere la strada intrapresa da chi avrebbe il potere ed il dovere di farlo.

Anche fossimo arrivati alla fine della emergenza epidemiologica e anche ci fossimo arrivati utilizzando il green pass, quale sarebbe stato il prezzo pagato in esclusione sociale? Chi sono le persone che abbiamo scelto di lasciare indietro? Quanto abbiamo collaborato ad una frammentazione e ad un disgregamento di comunità? Ci teniamo a sottolineare che è stato già messo in conto che un 20% della popolazione studentesca non sarà vaccinata per l’inizio delle lezioni. Parliamo quindi di un numero importante di persone (almeno tremila) che dovranno affrontare una spesa economica per nulla ininfluente o un servizio universitario assolutamente non all’altezza.

Vi chiediamo quindi di assumere una ferma posizione di rifiuto di tale misura, garantire il libero accesso all’Università e mantenere strumenti preventivi, come per esempio l’autocertificazione e la didattica a distanza.
Qualora il direttivo universitario non dovesse prendere posizione contro questa discriminazione a norma di legge, continueremo ad organizzarci e metteremo in pratica azioni per fare sì che uno scempio di tali dimensioni non diventi realtà.

Fiduciosi nella Vostra considerazione e saggezza,
confidiamo in un dialogo costruttivo per tutta la comunità universitaria.

Trento, 27 Agosto 2021
Gli Studenti dell’Università degli Studi di Trento Contro il Green Pass.

 

 

LETTERA APERTA AI DOCENTI

Sulla natura discriminatoria del green pass – Studenti Universitari contro il Green Pass Trento (TN), 38122, Italia This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.

27 Agosto 2021
Gentili professoresse, Gentili professori,

Alla Comunità Universitaria tutta,

Gentilissimi, Vi contattiamo a nome di un crescente gruppo di studenti universitari che sempre più si sta ponendo serie domande circa la ripresa dell’imminente Anno Accademico. Settembre è alle porte e le preoccupazioni, i dubbi e le perplessità si accumulano, faticando a trovare risposte: molti di noi, si chiedono cosa ne sarà dell’Università e dell’istruzione accademica dopo l’emanazione del DL 111/2021, ormai noto ai più come “Decreto Legge sul Green Pass”.

La recente comunicazione inviataci dal Rettore in data 20 Agosto 2021 lascia davvero poco spazio ai nostri dubbi riguardo l’efficacia sanitaria del Green Pass e il mascherato obbligo vaccinale che esso cela. Eliminando preliminarmente la possibilità di utilizzare la DAD e di continuare a svolgere le lezioni in modalità blended, tale comunicazione sembra ridurre esplicitamente le perplessità di una parte della comunità studentesca ad un capriccioso chiacchiericcio non degno di essere discusso e approfondito.

In una situazione così delicata ed incerta quale è la nostra realtà sociale di oggi, nella quale le ten- sioni sono forti su tutti i piani (politico, sociale, istituzionale e relazionale), ci sentiamo in dovere di richiamare alla Vs. Gentile attenzione alcuni principi sottoscritti nel Codice Etico di Ateneo, nel Codice d’Onore degli Studenti, nel Codice di Comportamento ed infine, nello Statuto del nostro Ateneo. Questi documenti, la cui natura si allinea ai principi costituzionali che tutti noi come cittadini condividiamo, rappresentano le reciproche regole di vincolo e rispetto e normano con ciò la nostra comunità e sono dunque la nostra base etica e giuridica, a partire dalla quale ci impegniamo a promuovere un dialogo costruttivo e solidale tra tutti i componenti della comunità stessa.

Alla luce di questi valori implicitamente condivisi, riteniamo che il Decreto Legge 111/2021 possa realisticamente alimentare un grave circuito di discriminazione all’interno della comunità universita- ria1, comunità verso la quale l’Università opera al fine di «promuovere la rimozione degli ostacoli che impediscono ai membri l’eguaglianza delle opportunità» (Statuto, art. 36, comma 2). Nella sentita appartenenza verso tale comunità, è dunque nostro compito e dovere di studentesse e studenti, impeg- narci al fine di promuovere, nel nostro piccolo, la tutela della pluralità di sensibilità, incoraggiando altresì una migliore integrazione e solidarietà tra le parti, nel rispetto del nostro stesso Codice d’Onore degli Studenti2.

La Certificazione Verde, non configurandosi come un attestato di salute e di sanità, decreta un atto discriminatorio in evidente contrasto con i principi di libertà ed eguaglianza sanciti all’interno del Co- dice Etico3, nonché con il fondamentale rispetto per la dignità della persona dichiarato all’interno dello stesso Codice (art. 6, comma 2; 4).

Riteniamo che tale atto legislativo, in sede universitaria, potrebbe altresì favorire l’aumento di una discriminazione sociale tra gli stessi studenti, incentivando tra gli stessi la divisione della comunità stu- dentesca in due macro-categorie tra esse antitetiche (“il vaccinato”e “il non vaccinato”), implicitamente correlate ad una valutazione etica di natura esclusiva e binaria (“il buono” e “il cattivo/l’untore”). Tale valutazione etica si manifesterebbe, verso il singolo studente non vaccinato, come una seria discrimina- zione volta a condannare sul piano morale ed economico una personalissima scelta di carattere clinico.

Un contesto universitario così predisposto qui a Trento, difficilmente creerebbe invece le condizioni per favorire un ambiente affine ai principi egualitari e inclusivi del Codice Etico, in particolare, ostacolerebbe la piena realizzazione pratica dell’articolo 7 sulla Discriminazione4. Proprio tale discriminazione, assieme a tutte le altre, è poi esplicitamente condannata all’art. 2 della sezione Valori Generali del Codice d’Onore degli Studenti5.

Come si evince da questi articoli, la comunità universitaria della quale tutti noi facciamo parte si fonda su un’etica pluralistica volta alla promozione della tolleranza, della non discriminazione e al rispetto delle libertà individuali, nonché della dignità della persona: crediamo infatti che la sensibilità verso questi valori vada coltivata con cura e promossa dalla comunità stessa in ogni modo disponibile. Per questo motivo, riteniamo che tanto il DL 111/2021 sia in preoccupante contrasto con le stesse nostre norme universitarie, oltre che con le norme europee. Lo stesso Regolamento UE 953/2021, disciplinante la materia della Certificazione Verde, specifica all’art. 36 l’assoluta necessità di evitare qualsiasi forma di discriminazione (diretta o indiretta) verso coloro che «non si sono vaccinate per motivi di salute, opportunità o scelta personale»; a tale Regolamento, la normativa italiana DL 52/2021 che introduce il Green Pass, specifica chiaramente all’art. 9 il principio della «prevelanza delle norme europee su quelle nazionali», prevedendo espressamente l’applicabilità di tali norme solo se compatibili con quella euro- pea.

Nella fattispecie del caso trentino, la precisa scelta di non proseguire con la modalità blended le lezioni (pur essendo essa un sistema che ha retto per più di un anno), si configura come un atto volontario e assolutamente discrezionale, per nulla giustificato dal Decreto Legge, il quale non disciplina alcuna modalità di erogazione delle lezioni. Di più, tale scelta arreca non poche difficoltà a tanti studenti, che dopo un anno e mezzo di didattica blended si trovano costretti a ritornare in aule “pollaio”, nelle quali le comuni misure di prevenzione (distanziamento e sanificazione tra una lezione e l’altra) non vengono minimamente rispettate. Non tutti hanno la sicurezza di poter riprendere con serenità le lezioni, sotto queste condizioni: la pressione psicologica dei contagi è elevata e purtroppo giustificata anche dall’incombere dell’autunno.

In un contesto di Stato di Emergenza quale noi ancora ci troviamo, eliminare la DAD senza possibilità di appello, costringendo migliaia di studenti ad ambienti saturi e per nulla sicuri (pena il declassamento a non frequentanti), è una presa di posizione miope ed avventata che difficilmente può avere un effet- tivo successo reale per tutti quanti. Di più, l’impedire agli studenti non in possesso della Certificazione Verde di partecipare alle lezioni in presenza, di sostenere gli esami e di frequentare le biblioteche si confi- gura come una gravissima violazione del diritto allo studio tutelato dall’art. 34 della Costituzione Italiana6.

Purtroppo, sappiamo anche la legge sul Green Pass coinvolge tutti i membri della Comunità univer- sitaria, ivi compresi voi tutti docenti e personale amministrativo. Il caso italiano ha infatti il merito particolare di essere l’unico tra tutti ad aver introdotto la Certificazione Verde nel mondo del lavoro, ricattando pesantemente dapprima gli operatori sanitari e a seguire tutto l’ambiente dell’Istruzione Pubblica e, soprattutto, compiendo una gravissima violazione del fondamentale diritto al lavoro (artt. 1 e 4 Costituzione).

Ci troviamo così tutti quanti ad osservare una pericolosa e insidiosa violazione dello Stato di Diritto, che si insinua ora tra le nostre lezioni e le nostre biblioteche e rischia di snaturare l’ambiente univer- sitario tutto dei suoi valori fondativi. Noi studenti riconosciamo con sensibilità e sincero rammarico le ingiuste difficoltà che ogni membro della comunità vive in questo particolare e triste periodo della storia italiana. Esprimiamo così la nostra più autentica solidarietà e vicinanza a tutti coloro che hanno visto il loro posto di lavoro essere «sequestrato» come un giocattolo ai bambini e «restituito» appena si è provveduto ad attivare la Certificazione7.

A fronte di questo malessere generale e diffuso, crediamo sia invece giunto il momento di aprire le porte alla solidarietà reciproca e al mutuo aiuto, al fine di ricreare un ambiente sereno, inclusivo e pluralistico in cui tutti i membri della comunità possano trovare il proprio spazio di espressione e di reciproca conoscenza senza discriminazioni.

Per fare questo, vi invitiamo a considerare seriamente la possibilità di non tener fede a direttive (nazionali e non), che risultano essere in palese contrasto con i principi di libertà personale, eguaglianza e libertà di ricerca sanciti dai nostri codici di Ateneo e dalla nostra Costituzione, ma di compiere, ove possibile e con i mezzi a disposizione, un gesto di disobbedienza civile verso tali norme, garantendouna corretta fruizione delle lezioni a tutti coloro che non se la sentono di rientrare in massa nelle aule e/o nutrono importanti e ragionevoli dubbi circa le disposizioni del DL 111/2021.

Con questo atto di conciliazione, Vi invitiamo a non richiedere, in sede di esame e/o a lezione, di visionare alcuna Certificazione Verde e di proseguire – almeno fino al termine dello stato di emergenza (31/01/2022) – con l’erogazione blended dei corsi.

Prestando fede alle Vs. buone disposizioni d’animo, rimandiamo al buon senso critico generale che anima e coinvolge tutta la nostra comunità, la facoltà di scegliere liberamente con scienza e coscienza per il meglio della stessa.

Saremo lieti di conoscervi personalmente qualora questo messaggio trovasse in voi buona e sincera risonanza.

Con rispetto,

Studenti Universitari di Trento contro il Green Pass.