"Il Modello di gestione e il Piano di rischio per il fiume Sarca ci sono, vengono amministrati in modo continuativo e condiviso sia con le comunità locali sia con le rappresentanze della popolazione, da sempre ci sforziamo di raggiungere il miglior punto di equilibrio fra il mantenimento della vegetazione e la gestione idraulica del corso d'acqua": questa in sintesi la replica dell'assessore all'agricoltura, foreste, caccia e pesca Giulia Zanotelli ad un articolo comparso oggi su un quotidiano locale, in cui si sosteneva fra l'altro che il Trentino si è chiamato fuori rispetto alla legge nazionale che prevede la pianificazione di bacino. "Non è vero - sottolinea Zanotelli. - Il Piano di bacino previsto dalla legge 183 del 1989 è presente anche per il bacino del fiume Sarca attraverso il Piano generale di utilizzazione delle acque pubbliche. Lo stesso Pguap evidenza le aree di rischio alluvionale sul territorio e queste aree sono state aggiornate con l’adozione della nuova Carta della pericolosità approvata nell’ottobre del 2020. Il Trentino in ogni modo è stato fra i primi in Italia a vincolare le aree alla problematica del rischio idrogeologico quando nel resto d’Italia la tematica non era neanche considerata".
Per l'assessore Zanotelli, assieme anche al dirigente della Protezione Civile provinciale Raffaele De Col, è necessario fare chiarezza sui punti fondamentali toccati dalla polemica.
In primo luogo, non è corretto dire che i Piani di bacino esistono in tutta Italia ma non in Trentino. In Trentino è vigente il Pguap, che ha valenza, come per tutta Italia, di Piano di bacino, ai sensi della legge 183 del 1989. Il Pguap è sovraordinanto al Pup e quindi le aree sono identificate nel rispetto del Pguap stesso.
Per quanto riguarda il Sarca, non è stata fatta alcuna "tabula rasa". L’ingegner Trentini ha elaborato a suo tempo per conto della Provincia, nell’ambito del progetto Life Ten, per tutti i fiumi trentini, i criteri e le linee di indirizzo per il trattamento della vegetazione in alveo. Queste linee guida sono regolarmente valutate nelle attività di manutenzione degli alvei fluviali effettuate dalla Provincia. Il Modello quindi c’è, così come il Piano del rischio: vengono gestiti naturalmente in modo continuativo e condiviso sia con le comunità locali sia con le popolazioni interessate (vedasi ad esempio la riunione a Palazzo Panni il 13 novembre 2017).
Chiamare “tabula rasa” l’effetto della piena sugli alberi è corretto, solo che ad effettuarla non è stata l’azione della gestione programmata, ma la piena stessa, che ha sradicato le piante di dimensioni più elevate e con il trasporto solido ha sradicato anche una elevata quantità di specie arboree di basso fusto. Gli interventi in atto asportano le piante ormai prive di capacità vegetativa, attivando anche un’azione selettiva per le piante che invece possono avere un futuro.
Trovare un equilibrio fra le diverse esigenze è proprio quello che si sta facendo da anni, e che si continua a perseguire nel rispetto della sicurezza dei territori e dell’uso degli stessi. In merito alla questione del taglio selettivo, la gestione della presenza delle piante in alveo è già allineata con il concetto di tagli selettivi. Diversa è la problematica legata ai depositi del trasporto solido nelle piene medie o grandi che di fatto comportano interventi di taglio ove necessario.
Le piene che hanno comportato esondazione hanno tempi di ritorno fino ad ora stimati nell’ordine dei 100 anni. Al fine di valutare la mutata situazione analizzata negli ultimi eventi con precipitazioni liquide fino a quote elevate, in periodi in cui normalmente si verificavano precipitazioni nevose, è stata commissionata un’analisi idrologica aggiornata che consentirà di stimare se ci sono riduzioni dei tempi di ritorno o se come evidenziato dallo stesso Trentini, si tratta della ripetizione di eventi ravvicinati che mantengono comunque invariato il fenomeno.
E’ importante capire se gli allagamenti derivano dalla piena del fiume o dalla gestione del territorio esterno. Troppo spesso si dimentica che le acque che arrivano nei fiumi vengono da bacini che sono antropizzati; quindi spesso piazzali, strade ed edifici generano portate liquide che un tempo erano trattenute dalla gestione agricola e che ora per mancanza magari di tubazioni di scarico o di adeguati collettori vanno ad allagare case o infrastrutture. Una problematica complessa che la Provincia affronta con le sue competenze tecniche e in accordo con le comunità locali, giorno dopo giorno.